Giornata Sì: Ngonge / Giornata No: Gagliardini
Giornata Sì - Ngonge
Io non me lo ricordo il momento della mia vita in cui ho accettato che la mia esistenza sarebbe stata normale, anonima, o comunque che il mio nome non sarebbe stato noto in tutto il mondo. Dev'essere successo a un certo punto, ma non me ne sono accorto in tempo reale: un giorno ti svegli e ti rendi conto che lo sai, già da un po', ed è perché ti va bene così.
Un'esistenza normale non ti preclude momenti epici e gesti straordinari, quelli in cui la tua vita normale squarcia il velo del comune e ti proietta per un po' nella dimensione degli dei e degli eroi, che poi come una pianta carnivora ti risputa nell'anonimato.
La rovesciata è un grande equivoco. È come il tapping alla chitarra. Fa un grande effetto, lascia a bocca aperta, fa urlare al miracolo e al sovrannaturale. Ma se suoni lo sai, il tapping è più d'effetto che difficile. E forse anche Cyril Ngonge esultando lo sa, mentre lo stadio urla il suo nome, che è ancora un giocatore normale, alla periferia del calcio vero, anche se ha mandato la palla lì gettandosi indietro di schiena e facendo "la bicicletta". Che una rovesciata non vuol dire molto, che potrai essere Cristiano Ronaldo, Wayne Rooney, Fabio Quagliarella o Mauro Bressan. La rovesciata è un'arma povera. La nobiltà, di calciare all'indietro, non dovrebbe mai averne bisogno. Ngonge vorrebbe arrivare lì.
Giornata No - Gagliardini
Nell'estate del 2017 di Gagliardini si parla come del nuovo Busquets, sia perché pare un fenomeno, sia perché ha già quell'aura da calciatore che divide, tra chi ha del calcio una visione estetica e chi funzionale, tra chi adora la giocata e chi perde la testa per quei giocatori che fanno la differenza senza palla.
È l'ultima estate di Gagliardini, prima di diventare da giocatore a meme, una specie di Maguire prima di Maguire, il nome che fa mugugnare San Siro ogni volta che lo speaker ne annuncia l'ingresso in campo.
Gagliardini ha un bisogno matto di esultare, perché i successi dell'Inter sono tanti negli anni in cui c'è lui, ma è come se lui esultasse di luce riflessa, vuole un ruggito suo. Gioca nella Lombardia meno prestigiosa, in una squadra ambiziosa e a tratti bellissima, contro la sporca, essenziale, brutta ed efficace Juventus di Allegri, che sta ormai trascendendo da allenatore a ideale puro. La Juventus spesso si avvicina tanto al fuoco che brucia, e col Monza sembra proprio andare così.
L'urlo di Gagliardini in faccia a Rabiot è quello di chi ha mandato a monte un esperimento che vuole distruggere il calcio e quindi il mondo.
La Juve poi vince. Rabiot risponde. Gagliardini è di nuovo lo zimbello, e non sembra accettarlo.
L'unico che, sotto sotto, mastica amaro è proprio Allegri. La Juve ha vinto, ma l'esperimento è fallito.